venerdì 14 giugno 2019

Il concetto di dignità nel pensiero occidentale in breve


Grecia Antica: la dignità insieme si ha (timè) e si deve ottenere (aretè);

Antica Roma: la dignità si costruisce in fieri, progredendo nel cursus honorum (cariche politiche);

Medioevo e cristianità: l’uomo in quanto immagine e somiglianza di Dio ha dignità;

Rinascimento: homo faber, l’uomo deve far uso della libertà e costruirsi il proprio destino;

Illuminismo: la dignità è intrinseca all’uomo, in quanto possessore di ragione;

Romanticismo: l’uomo è insignificante di fronte alla natura, deve essere consapevole della propria inferiorità, ma cercare di sviluppare al massimo le proprie capacità;

Sartre: la dignità dell’uomo corrisponde alla stretta coerenza delle azioni;

Oggi. Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: «Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti» (art.1).

Osservando questi diversi contributi, si può riassumere che nel pensiero occidentale la dignità è qualcosa che si ha e che allo stesso tempo si deve conquistare. H.Hofmann in “La promessa della dignità umana” distingue due posizioni:

1) Teoria della dotazione: l'uomo in quanto uomo ha dignità (attributo ontologico);
2) Teoria della prestazione: la dignità è risultato dell'agire e dell'autodeterminazione umani.

Uomo e macchina


In questa immagine è presente un arto meccanico che "tiene al guinzaglio" un uomo. Può ben riassumere il concetto che Gunther Anders delinea all'interno del suo libro L'uomo è antiquato (1956), secondo cui, se prima della tecnologia gli oggetti erano protesi dell'uomo, ora è l'uomo a diventare protesi della macchina. In questo modo l'uomo rischia di perdere la capacità di "farsi da sè", ovvero di autodeterminarsi.

Sartre, L'esistenzialismo è un umanismo


«L’uomo è, dapprima, un progetto che vive sé stesso soggettivamente, invece di essere muschio, putridume o cavolfiore; niente esiste prima di questo progetto; niente esiste nel cielo intelligibile; l’uomo sarà anzitutto quello che avrà progettato di essere». (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Armando Editore, 2006, p.47)

Con queste parole il filosofo francese afferma che la dignità umana deriva dal fatto che l’uomo non è predeterminato, ovvero non esiste un’idea di uomo primitiva che caratterizza ed accomuna l’intero genere umano, ma egli si definisce nel corso della propria vita. L’uomo all’inizio non è niente, si trova, “sorge” nel mondo e si definisce dopo, ma non in astratto bensì attraverso le proprie azioni e le proprie scelte.

«Il vile si fa vile, l’eroe si fa eroe».  (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, p.65)

Questo è il fulcro del pensiero sartriano: la scelta. L’uomo è sempre costretto a scegliere perché anche il fatto di astenersi diventa esso stesso una scelta. È l’uomo a stabilire che cosa essere, che cosa diventare.  Attraverso le sue scelte il vile si fa vile e l’eroe si fa eroe; c’è sempre la possibilità di cambiare la propria situazione.

«L’uomo è condannato ad essere libero».  (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, p.54)

In questa visione la libertà è assoluta, a tal punto che l’uomo, come sostiene Sartre stesso, è “forzato” ad essere libero. Il peso della libertà è tale che viene quasi concepito come una condanna dal momento che vengono aboliti tutti i possibili modelli di riferimento. Poiché non ci sono più valori che possano legittimare una certa condotta né giustificazioni o scuse, l’uomo è solo, pienamente responsabile di quanto sceglie. 

«Quando diciamo che l’uomo è responsabile di se stesso, non intendiamo che l’uomo sia responsabile della sua stretta individualità, ma che egli è responsabile di tutti gli uomini».  (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, p.48)

Per di più colui che sceglie, non assume un impegno solo per sé, ma diventa un legislatore per tutta l’umanità in quanto ogni decisione ha una ricaduta sugli altri. Infatti in ogni progetto, per quanto individuale esso sia, vi è un’universalità poiché scegliendo ognuno contribuisce a costruire il concetto universale di uomo. L’uomo decide di ciò che lui stesso e di ciò che sono gli altri.

«Tu sei libero, scegli, cioè inventa».  (J.P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, p.59)

Infine, in questo risiede la dignità: nell'evitare quello che Sartre stesso definisce "mala fede", vale a dire il comportamento di colui che si rifugia dietro scuse, illusioni, un presunto determinismo. Infatti, l'atteggiamento di buona fede, e quindi dignitoso, risiede nella stretta coerenza delle proprie decisioni e dei propri atti. Già Pico della Mirandola aveva accostato il concetto di dignità con l'esercizio della libertà. Sartre, sulla scia di ciò, individua la dignità quale frutto coerente dell'agire umano, della possibilità di inventare e creare se stessi. 

C.Chaplin, Tempi moderni



Questa sequenza tratta dal film Tempi moderni (1936) di Charlie Chaplin è rappresentativa del ruolo dell'operaio all'interno della catena di montaggio. Charlot, il protagonista, diventa un semplice elemento del macchinario che esegue ripetitivamente la stessa azione fino ad alienarsi.

In un'altra scena del film viene presentata una macchina automatica per l'alimentazione, che dovrebbe permettere all'operaio di mangiare senza interrompere il lavoro. Anche in questo caso i nuovi strumenti sono visti come oggetti di oppressione dell'uomo, che diventa schiavo della macchina.

Dignità oggi

Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), Articolo 1: 

"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". 

Dunque, oggi la dignità è un diritto ufficialmente riconosciuto e teoricamente tutelato, da tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. Tuttavia ogni democrazia, nella sua forma attuale, presenta delle carenze nel modo in cui si impegna con la natura umana, in quanto permangono casi di alienazione, discriminazione, ingiustizia, emarginazione.

Quindi, la priorità delle istituzioni deve rimanere la dignità umana, non solo la libertà politica. Di questo avviso è il neuroscienziato Nayef Al-Rodhan che, nell'articolo A neuro-philosophy of dignity-based governance (data consultazione 05/06/19), auspica il raggiungimento di un concetto di dignità che non implichi la sola assenza di umiliazione ma un insieme di nove esigenze che comprende: ragione, sicurezza, diritti umani, responsabilità, trasparenza, giustizia, opportunità, innovazione e inclusività.

Mappa concettuale



mercoledì 12 giugno 2019

Arbeit macht frei

 

Ciò che più ferisce nell'atroce sberleffo rivolto ai deportati che varcavano la soglia del lager di Auschwitz, a ben vedere, è che la proposizione in cui esso consiste può essere vera: esiste un lavoro nel quale la persona si realizza, un lavoro che produce e garantisce la sua libertà. Lo scherno sta nell'omonimia tra questo lavoro e il lavoro disumanizazante dello schiavo, della persona ridotta a strumento, o addirittura della persona che attraverso il lavoro massacrante viene uccisa. La perfidia nazista sta nell'uso di questa omonimia per irridere, con la menzione del lavoro nella sua accezione più alta, milioni di persone che prorpio attraverso il lavoro nell'altra accezione, quella infernale, stanno per percorrere l'ultimo tratto del percorso loro riservato verso lo sterminio. (Pietro Ichino, Il lavoro che uccide il lavoro che salva, data consultazione: 12/06/19)

"Arbeit macht frei", Primo Levi (primolevi.it, data consultazione:12/06/19):

"Erano queste le parole che si leggevano sul cancello di ingresso nel Lager di Auschwitz. Il loro significato letterale è «il lavoro rende liberi»; [...] a quanto pare, avrebbe dovuto suonare press’a poco così:
«Il lavoro è umiliazione e sofferenza, e si addice non a noi, Herrenvolk, popolo di signori e di eroi, ma a voi, nemici del terzo Reich. La libertà che vi aspetta è la morte».
[...] Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano
". 

"I sommersi e i salvati", Primo Levi:

"A differenza della fatica puramente persecutoria, quale quella che ho appena descritta, il lavoro poteva invece talvolta diventare una difesa. Lo era per i pochi che in Lager riuscivano a essere inseriti nel loro proprio mestiere [...]; questi, ritrovando la loro occupazione consueta, recuperavano in pari tempo, in certamisura, la loro dignità umana".