Un cambiamento decisivo nell’uso
del termine dignitas, rispetto al lessico romano, si ealizza con l’avvento e l’affermazione
della cultura cristiana, nella quale si distinguono come esponenti:
SEVERINO BOEZIO
Nel Consolatione Philosophiae
il termine dignitas assume una
concezione maggiormente neutra, tanto da necessitare di essere qualificata con
particolari aggettivi, per comprendere in quale accezione sia da intendere.
La dignitas perde la monolitica valenza positiva, ormai associata alla
vera dignitas. Boezio passa al vaglio
la possibile scissione tra forma esteriore e contenuto ed è su questo piano che
si riscontrano le maggiori differenze con la concezione romana: nel pensiero
cristiano la forma si stacca dal contenuto e assume una posizione inferiore,
dunque la dignitas nel significato di
incarico passa del tutto in secondo piano rispetto alla vera digitas, che non è
più l’incarico stesso, ma la virtù
interiore. Viene quindi a configurarsi una dignità assolutamente interiore,
di carattere morale, che fa riferimento
ad una dimensione universale dell’uomo.
SAN TOMMASO
Secondo il pensiero tomista,
invece, non essendoci nulla di più alto dell’uomo, ad eccezione di Dio, esso
assume un valore e una dignità di per sé,
che scaturisce dalla sua creazione ad
immagine di Dio.
L’uomo risulta in possesso di una
peculiare dignità, che gli consente di non venire totalmente assorbito dalla
società, in quanto essere libero,
che esiste in sé e per sé, possessore di una magnae dignitatis, ovvero in grado
di esistere come soggetto di natura ragionevole.
Continua con Rinascimento
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