lunedì 10 giugno 2019

Homo faber nel corso dei secoli

ANASSAGORA

Da sempre tra le caratteristiche peculiari dell'uomo vi è quella del fare. Già Anassagora (fisico pluralista) in un frammento scriveva:

"L'uomo è intelligente perchè ha le mani". 

Anassagora mette in evidenza che l'uomo è l'unico tra gli esseri viventi dotato delle mani. Egli mette in luce l'importanza della tecnica, per mezzo della quale l'uomo può modellare la realtà, le cose. L'uomo sopravvive grazie alla sua capacità manipolativa. La dignità dell'uomo risiede in questo: nel fare, nel poter modificare la realtà a tal punto da piegarla in favore dei propri interessi. 

ANTICA ROMA

Veniamo ora all'origine della locuzione homo faber, diventata famosissima. A usarla per primo è stato Appio Claudio Cieco nelle sue Sententiae

"Homo faber fortunea suae" (frammento 3 Morel).

Questa massima sottolinea la posibilità dell'uomo di poter guidare il proprio destino. Faber, tuttavia, è un termine tecnico che lettralmente significa "artigiano, fabbro". Vi è dunque un rimando esplicito alla tecnica e alla capacità dell'uomo di fare, plasmare non solo la materia, ma anche gli eventi.

Alcuni secoli dopo, viene coniata una nuova sententia attribuita a Sallustio, benchè l'autenticità sia molto discussa:

"faber est suae quisque fortuna" (Epistulae ad Caesarem senem de re publica, 1, 1, 2), 

che tradotto significa: ognuno è artigiano della propria sorte. 

RINASCIMENTO

La locuzione di Appio Claudio Cieco, invariata nei primi due termini e privata del genitivo, acquisisce grande notorietà nel corso del Rinascimento. Infatti in questo periodo emerge un'idea di sapere non fine a se stesso, ma funzionale all'azione, quale strumento di costruzione del mondo. L'uomo è al centro di tutto e può cambiare il mondo e la realtà a seconda dei propri bisogni grazie alla tecnica.

Inoltre, permane assieme a questo concetto il significato originale. Infatti, se nel Medioevo si riteneva che l'uomo fosse succube del destino, ora si conferisce all'uomo la possibilità di agire, di fare. Egli non soccombe più di fronte a una realtà predeterminata, ma diventa attore e costruttore del proprio futuro. 

SARTRE

Chiudiamo il cerchio con l'autore di riferimento del nostro lavoro:

"L'uomo si fa" (L'esistenzialismo è un umanismo, Armando Editore, p.72).

Con queste poche e lapidarie parole, Sartre riprende una lunga tradizione e la adatta al suo pensiero, riassumendolo in breve: l'uomo all'inizio non è nulla, è un progetto che deve svilupparsi per mezzo delle proprie scelte in totale libertà.

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