lunedì 20 maggio 2019

Dignità: Rinascimento


La dignità non è il primo attributo della persona umana solo nell’antichità classica e nel medioevo. Anche nel rinascimento, infatti, è stato punto fermo nei discorsi sullo statuto della persona e non è mancato chi ha visto nella riproposizione della dignità dell’uomo i semi che sviluppati hanno portato alla fioritura letteraria ed artistica del rinascimento. In questo periodo sono stati elaborati diversi pensieri sulla dignità dell’uomo che si discostano molto da quelli formulati nel Medioevo. Cambia totalmente la prospettiva: Dio viene messo da parte, per porre l’uomo al centro di tutto.

Giannozzo Manetti afferma che la dignità deve essere continuamente ricercata con la virtù, l’azione e l’impegno costante nella vita sociale e politica. Solo in questo modo l’uomo può essere simile a Dio.                                                                    
                                                                              
Marsilio Ficino afferma che l’uomo è “il signore degli esseri viventi e delle cose inanimate”; quest’ultimo infatti, domina, controlla, addestra e modella tutto ciò che lo circonda, impersonando quasi la divinità stessa, ed è proprio grazie al suo intelletto e alla sua anima se può trasformarsi in Dio. 

Pico Della Mirandola che accentua il suo discorso sulla libertà dell’uomo, sul libero arbitrio, e sul fatto che sia proprio l’essere umano la creatura perfetta, in grado di comprendere e ammirare la vastità e la bellezza delle opere divine.

Da tali pensieri quasi sembra che l’uomo possa raggiungere, o addirittura, impersonificare Dio. Per questi autori affermare ciò significa liberarsi dalle catene, non essere più schiavi di quel mondo fatto di dolore e punizione. Si vuole mettere fine ad una condizione umana che priva l’uomo stesso di ogni atomo di dignità e libertà. Potersi porre per la prima volta al centro, essere il punto focale di ogni questione e sentirsi slegati da ogni giudizio divino, ha permesso all’uomo di progredire.

Vedi Icologia di Cesare Ripa

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Dignità: Medioevo e cristianità


Un cambiamento decisivo nell’uso del termine dignitas, rispetto al lessico romano, si ealizza con l’avvento e l’affermazione della cultura cristiana, nella quale si distinguono come esponenti:

SEVERINO BOEZIO

Nel Consolatione Philosophiae il termine dignitas assume una concezione maggiormente neutra, tanto da necessitare di essere qualificata con particolari aggettivi, per comprendere in quale accezione sia da intendere. 

La dignitas perde la monolitica valenza positiva, ormai associata alla vera dignitas. Boezio passa al vaglio la possibile scissione tra forma esteriore e contenuto ed è su questo piano che si riscontrano le maggiori differenze con la concezione romana: nel pensiero cristiano la forma si stacca dal contenuto e assume una posizione inferiore, dunque la dignitas nel significato di incarico passa del tutto in secondo piano rispetto alla vera digitas, che non è più l’incarico stesso, ma la virtù interiore. Viene quindi a configurarsi una dignità assolutamente interiore, di carattere morale, che fa riferimento ad una dimensione universale dell’uomo. 

SAN TOMMASO

Secondo il pensiero tomista, invece, non essendoci nulla di più alto dell’uomo, ad eccezione di Dio, esso assume un valore e una dignità di per sé, che scaturisce dalla sua creazione ad immagine di Dio

L’uomo risulta in possesso di una peculiare dignità, che gli consente di non venire totalmente assorbito dalla società, in quanto essere libero, che esiste in sé e per sé, possessore di una magnae dignitatis, ovvero in grado di esistere come soggetto di natura ragionevole.

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